Elia Comini (1910 – 1944)

Elia Comini nacque il 7 maggio 1910 a Calvenzano, in provincia di Bologna, da Claudio ed Emma Limoni. Nel 1914 la famiglia di Elia si trasferì in una località chiamata “Casetta”, nella parrocchia di Salvaro. L’Arciprete di Salvaro, mons. Fidenzio Mellini, da militare a Torino aveva frequentato san Giovanni Bosco, che gli aveva profetizzato il sacerdozio.

Mons. Mellini stimava molto Elia per la sua fede, la bontà e le singolari capacità intellettuali. D’accordo con i genitori lo mandò alla scuola dei Salesiani a Finale Emilia, dove Elia chiese di diventare salesiano. Dopo il noviziato a Castel de’ Britti, fece la prima professione religiosa nel 1926. Nello stesso anno morì il papà di Elia. Da quel momento l’Arciprete gli farà da secondo padre. Completò gli studi a Torino Valsalice, in seguito si laureò in lettere presso l’Università statale di Milano. Il 16 marzo 1935 venne ordinato sacerdote.

Incarnò la carità pastorale di Don Bosco

Don Elia Comini fu sacerdote ed insegnante, apostolo ed educatore di giovani, nelle scuole salesiane di Chiari e di Treviglio. Incarnò particolarmente la carità pastorale di don Bosco e i tratti dell’amorevolezza salesiana, che trasmetteva ai giovani attraverso il carattere affabile, la bontà e il sorriso.

Nell’estate del 1944 si recò a Salvaro per assistere l’anziana madre e per aiutare mons. Mellini. La zona era diventata epicentro di guerra tra alleati, partigiani e tedeschi, fra il terrore della popolazione e la devastazione pressoché totale. I Salvaresi e gli sfollati di quelle località si videro sempre don Elia accanto, pronto per le confessioni, zelante nella predicazione, abile a sfruttare le sue doti di buon musicista per rendere più liete le funzioni sacre.

Assieme al dehoniano padre Martino Capelli visita e soccorre i rastrellati e i rifugiati, medica i feriti, seppellisce i morti, mette pace fra la popolazione, i tedeschi e i partigiani, spesso anche a rischio della propria vita. Nella parrocchia di Salvaro, piena di clandestini rifugiati, giunse la notizia che, in seguito a uno scontro con i partigiani, le terribili SS avevano catturato 69 persone, tra le quali c’erano ormai dei moribondi bisognosi di conforto.

Sotto il fuoco nemico

Don Elia e padre Martino sotto il fuoco nemico prendono gli Olii Santi e si incamminano. Vengono catturati, perché considerati spie dei partigiani, e costretti a lavorare duramente. Furono messi insieme con altri ostaggi in una scuderia. Don Elia, con eroica carità pastorale, rifiutò la libertà che gli venne proposta per stare vicino agli altri prigionieri.

Fucilato

Disse: “O ci liberano tutti o nessuno!”. Vennero processati ed accusati ingiustamente. Prima della fucilazione don Elia e padre Martino, come già mons. Versiglia e don Caravario, si confessarono a vicenda. Poi don Elia pronunciò a voce alta l’assoluzione per gli altri ostaggi, che risposero con un segno di croce. La sua salma venne poi dispersa nel fiume Reno.